Escavazione dell'alabastro nell'antichità. Raccolta di scritti e di studi.
Riportiamo una raccolta di articoli e studi che trattano direttamente o che forniscono informazioni relative alla presenza di tracce di scavi antichi nelle cave di alabastro di Castellina Marittima.
Rivista Studi Etruschi - VOL.II - Firenze 1928
SUI MATERIALI IN CUI SONO SCOLPITE LE URNE CINERARIE DI VOLTERRA
La mancanza assoluta di notizie su escavazioni etrusche di alabastro e di tufo rende più difficile e al tempo stesso più interessante lo studio dei materiali delle urne; nè Plinio nè gli altri scrittori antichi le hanno menzionate : per essi erano materiali di descrizione solo i marmi, materia prima, ben più nobile, della scultura greca e romana, mentre invece gli alabastri di Volterra avevano una importanza solamente locale. Data la scarsezza di notizie antiche su questi materiali e più ancora sulle loro escavazioni, voglio sperare che non sia stato vano questo mio tentativo di riunire quelle nozioni scientifiche che oggi se ne possono avere. Delle seicento urne cinerarie conservate nel Museo di Volterra, oltre la metà sono scolpite in alabastro, molte altre in tufo, poche sono quelle di terracotta e di marmo, come risulta da questo prospetto, in cui sono suddivise secondo la classe a cui appartengono e secondo la materia che le costituisce.
CLASSE DELLE URNE Alabastro Tufo Terracotta Marmo
Div. I Classe I : Semplici 1 56 2 -
„ II Simbolografìa 6 31 3 1
„ III Demonicasia 21 23 3 1
„ IV Psicocogia 72 80 - -
Div. II I Eroica 125 19 1 -
„ II Troica 87 9 - -
„ III Tebaica 35 27 - -
In totale N. 347 250 9 2
Mentre mancano dati sufficienti per classificare le urne in rapporto al tempo, è evidente la relazione che corre fra il soggetto scolpito e la materia prima : le urne più piccole e più modeste, particolarmente quelle con coperchio a fastigio, quelle con decorazione floreale e con altri soggetti semplici, sono scolpite in tufo.
Quelle migliori, più ricche di figure, e di soggetto più movimentato, come ad esempio quelle che riproducono il viaggio agl’inferi in carpento ed in cocchio e quelle delle classi Eroica e Troica, sono generalmente di alabastro. Per le urne delle classi « Demonicasia », « Psicocogia » e « Tebaica » ciò risulta più evidente classificando i soggetti nelle varie sezioni di ciascuna classe.
DIVISIONE I CLASSE III DEMONICASIA
Alabastro Tufo Terracotta Marmo
Sez. I Mani e Geni con fiori e patere - 5 - -
Testa di Mercurio psicocogo - 1 2 -
III Teste di Gorgoni, Maschere e larve 4 3 - -
IV Furie 1 - 1 -
V Ratto di Proserpina 2 - - -
VII Grifi 3 9 - -
VIII Ippocampi 1 3 - -
IX Tritoni e Scille 7 6 1 -
X e XI Divinità diverse 3 1 - -
DIVISIONE I CLASSE IV PSICOCOGIA
Alabastro Tufo
Sez. I Separazione dell’anima dal corpo 1 2
»» II Congedo dell’anima dai superstiti 1 20
»» III Processioni funebri 4 6
IV Congedo presso il limite sepolcrale - 10
V Partenza per gl’inferi 3 14
»» VI Viaggio equestre agl’inferi 9 3
VII Viaggio equestre agl’inferi con incontro di Mani pedestri 6 15
VIII Viagggio equestre agl’ inferi con incontro di Mani a cavallo 4 -
» X, XI, XII, e XIII Viaggio equestre agl’inferi in carpento 24 2
XIV e XV Viaggio eq. agl’inferi in cocchio 16 1
X, XVI, XVII, XVIII e XIX Altri soggetti 4 4
Da questi prospetti e particolarmente da quello della Classe « Psicocogia » risulta evidente che gli Etruschi preparavano urne di vario pregio, riservando alle sculture più belle la materia prima migliore: probabilmente esisteva un largo commercio di urne che venivano scelte secondo il grado sociale dei defunti e completate in ultimo dell’effigie di questi. Osservando le urne di alabastro e di tufo delle stesse sezioni, si nota quasi sempre che queste ultime, a parità di soggetto trattato sono più semplici e di minor pregio per l’esecuzione. Dato il loro maggior numero e la loro maggiore importanza, ritengo opportuno esporre subito e più estesamente i resultati, invero molto modesti, delle ricerche da me fatte sulle urne di alabastro.
Le notizie più antiche su questa pietra sono quelle di alabastri orientali od Egizi e concordano col l’etimologia stessa della parola alabastro. Il nome ellenico più antico è dXapacrtovla cui etimologia sembra così derivata dal coptico ài pietra, bo capello o be sepolcro e -f/z unguento odoroso, cioè pietra per contenere unguenti per capelli od unguenti da offrire ai morti, come solevasi. Tanto Plinio che altri scrittori antichi chiamano spesso alabastri i vasi per con tenere unguenti; occorre però rilevare l’obiezione fatta anche dal Targioni-Tozzetti sull’identità mineralogica delle pietre chiamate alabastri e alabastriti. Per molte considerazioni l’alabastrite citata da Plinio come materia prima dei vasi unguentari e al tempo stesso anche di mortai da pestare, era una pietra dura silicea cioè una agata od onice (grado di durezza 7 della scala di Mohs) alla quale, nella fabbricazione di vari oggetti, sarà stata sostituita per somiglianza e per maggiore facilità di lavorazione quella pie tra di assai minor pregio detta propriamente alabastrite od alabastro orientale. Ma neppure l’alabastrite corrisponde mineralogicamente ai nostri alabastri, essendo costituita da calcare spatico (carbonato di calcio) cristallizzato nel sistema romboedrico-esagonaie, ora candido, ora giallognolo o zonato come onice, quasi sempre translucido, molto simile nell’aspetto ai nostri alabastri, ma più pesante e più duro (grado di durezza 3 della scala di Mohs). I nostri alabastri sono invece costituiti da solfato di calcio cristallizzato nel sistema monoclino con due molecole d’acqua del grado di durezza 2 della scala di Mohs, a struttura in apparenza ceroide, ma minutamente cristallina, saccaroide.
Per l’origine geologica questi alabastri si distinguono in due gruppi: quelli che si rinvengono presso Castellina Marittima, di origine nettuniana e quelli del Volterrano di origine metamorfica. Allo scopo di riconoscere la provenienza degli alabastri in cui sono scolpite le urne etrusche, occorre esaminare particolarmente le varietà di alabastro e la loro formazione geologica. Gli alabastri di Castellina Marittima si sono formati in terreni miocenici, con un processo di sedimentazione del solfato di calcio contenuto in acque marine : la concentrazione intorno ad uno o più centri di cristallizzazione, avvenuta molto lentamente e più regolarmente (in confronto di quella degli alabastri volterrani), ha prodotto gli sferoidi di alabastro statuario, purissimo, omogeneo e massimamente traslucido, mentre le impurezze argillose venivano respinte alla periferia dei blocchi durante il loro lento accrescimento. La riunione di due o più sferoidi troppo vicini ha dato luogo per inclusione delle impurezze argillose, alle venature o linee nere della pietra detta scaglione, che sono molto più estese in lunghezza, più regolari e meno frequenti di quelle degli alabastri volterrani. Tutto il giacimento degli sferoidi alabastrini di Castellina Marittima è formato da parecchie stratificazioni alternate da strati dello spessore variabile da uno a più metri di gesso selenitico, grossolanamente cristallizzato, misto a sostanza argillosa.
Gli alabastri del volterrano si rinvengono in numerose località situate fra l’alta valle della Cecina e l’alta valle dell’Era in terreni miocenici e pliocenici : la loro formazione è avvenuta per solfatazione delle rocce calcaree preesistenti per opera di emanazioni di idrogeno solforato che possono avere avuto relazione con quelle che oggi si ritrovano numerose nella zona dei soffioni boraciferi.Fra le numerose località vicine a Volterra nelle quali si escavano alabastri, è importante quella di Gesseri in frazione di Mazzolla, ove gli alabastri sono disposti in ammassi e filoni di notevole sviluppo. Gli sferoidi di alabastro contenuti in filoni sono circondati da grandi masse di argille scagliose calcaree, talora grigie, talora nerastre per sostanza organica; queste argille sono superficialmente consolidate in una roccia gessoso-calcarea minutamente cristallina, e solcate da estese stratificazioni laminari di gesso fibroso.
Gli alabastri volterrani per quanto generalmente si presentino in ammassi sferoidali, sono notevolmente differenti da quelli di Castellina ; a causa del diverso modo di formazione sono caratteristici per le seguenti varietà :
1) Alabastri con colorazione variabile dal giallo e dal giallo-rossiccio (« pietra gialla », poco translucida e pietra « cotognina » molto translucida) fino al marrone scuro (alabastro detto « agata »), dovuta a tracce di ossidi di ferro ed a sostanza organica.
3) Alabastri (detti bardigli), con venature nere o grigio scure ricurve e diffuse in vario modo, talora fittissime, ma sempre ben diverse da quelle scarse e regolari degli « scaglioni » di Castellina Marittima.
3) Alabastri con macchie biancastre incorporate nella massa alabastrina fondamentale più translucida, dovute-a cristallizzazione meno compatta, che conferiscono alla materia una maggiore porosità e li rendono meno translucidi.
4) Alabastri con resti di calcari originari, contenuti frequentemente nelle venature grigie alabastri con cristallizzazioni di zolfo compenetrate nella loro massa. Le urne cinerarie di alabastro resultano scolpite nelle seguenti varietà di pietra che dispongo in ordine della 'loro maggiore frequenza :
1) Alabastro con numerose venature grigie, ricurve ed intrecciate variamente fra loro, (come i « bardigli » di Gesseri, di S.Anastagio e di Ulignano) che, dato lo stato di conservazione, sono ben visibili specialmente nelle urne 25, 121, 137, 141, 156. 175, 202, 206, 211, 227, 229, 245. 247, 260, 287, 327, 351, 358, 372, 394, 428, 460, 511.
2) Alabastro con macchie biancastre molto sviluppate, talvolta solcate da venature grigie, (come alcuni tipi di alabastro di Gesseri, di S. Anastagio e di altre località limitrofe) particolarmente evidenti nelle urne 119, 128. 132, 153, 154, 164, 208, 226, 230, 241, 272, 297, 330, 333, 339, 342, 376, 434, 457, 590.
3) Alabastro notevolmente translucido ed omogeneo con leggera colorazione tendente al giallo-rossiccio che nella maggior parte dei casi rassomiglia ai migliori alabastri di Ulignano, come nelle urne 46, 102, 105, 11S, 122, 225, 244, 355.
Per molte urne non resta facile riconoscere subito la qualità dell’alabastro a causa di forti incrostazioni calcaree e di altre alterazioni superficiali, ma con un accurato esame ho potuto classificare fra le tre varietà citate più di trecento urne (fra le 347 urne di alabastro conservate nel Museo di Volterra).
Queste mie osservazioni e in special modo quella delle venature grigie, distribuite in modo assolutamente diverso da quelle degli’ alabastri di Castellina Marittima, inducono a far ritenere che gli Etruschi adoperassero per le loro urne gli alabastri del volterrano, cosa che resta più logica anche tenendo conto della maggiore facilità di trasporto e di altre considerazioni locali.
Nelle cave di alabastro del volterrano assai frequenti sono le tracce di escavazioni antiche, che non possono con sicurezza essere attribuite all’epoca etrusca : consistono in escavazioni superficiali con segni evidenti dell’uso della subbia anziché del piccone. In una escavazione di Gesseri questi segni si distinguono bene per la regolarità, per la lunghezza e per la distanza relativa. Inoltre per tradizione e per testimonianza dei cavatori è accertato che tanto a Gesseri, quanto a Ulignano ed in altre località, molte importanti cave, delle quali alcune tuttora in efficienza, sono state trovate seguendo le traccie delle escavazioni antiche. Queste escavazioni, di solito erano state fatte superficialmente e abbandonate nella loro maggiore efficienza quando si addentravano di pochi metri nel terreno.
Interessante è pure il fatto che una volta sono state trovate presso una di queste escavazioni, alcune monete comuni romane, che però non furono conservate.
Più importanti sono le escavazioni antiche delle cave della Soc. Marmolaio presso Castellina Marittima : vi sono grandi gallerie dell’altezza di circa m. 1,80 e della larghezza di m. 1,50. escavate a subbia, con grande perfezione tecnica, per una estensione di circa sei ettari ; con queste sono state dagli antichi sfruttate assai intensamente le due stratificazioni o massi (come localmente queste vengono chiamate) della migliore qualità di alabastro.
Oltre a queste escavazioni antiche che fanno parte delle ancor più estese gallerie di attuale sfruttamento della Soc. Marmolaio vi sono quelle parimente antiche di altra cava di alabastro vicina alla stazione ferroviaria di Castellina Marittima. È difficile stabilire l’epoca in cui furono fatte queste escavazioni antiche, ritenute localmente etrusche : i pochi ed incerti resti di oggetti antichi talvolta trovatisi non danno sufficiente appoggio a tale supposizione, alla quale si oppone pure la struttura degli alabastri in cui sono scolpite le urne volterrane. La tradizione popolare di Castellina Marittima fa la storia di queste escavazioni, attribuendole ad un attivo sfruttamento etrusco, cui sarebbe seguito un più che millenario abbandono ; tramanda pure notizie di sette paesi antichi dei dintorni, di ipogei etruschi e di molti oggetti antichi rintracciati casualmente e di solito non conservati.
Resta quindi molto probabile che queste escavazioni antiche abbiano dato forti quantità di alabastro, che sarà stato certamente oggetto di estesi commerci con altre regioni, come del resto poteva permetterlo anche la relativa vicinanza di Vada Volterrana.
Le indagini sulle urne di tufo sono state notevolmente più facili. Dai saggi chimici e dalle osservazioni microscopiche fatti su frammenti di numerose urne risulta che il tipo della materia adoperata è sempre lo stesso. È un tufo calcareo, costituito da carbonato di calcio (completamente solubile negli acidi diluiti) a struttura spugnosa, con avanzi di vegetali e frammenti di conchiglie impigliati nella sua massa : si tratta evidentemente di roccia prodotta da precipitazione di carbonato di calcio in seno ad acque calcarifere. Le rocce tufacee sono assai frequenti nel Volterrano da essere anche oggi utilizzate variamente; ve ne sono anche sotto la città di Volterra e nelle sue immediate vicinanze; tali rocce però sono più ricche di silice di quelle in cui sono scolpite le urne, ed hanno analogia colle arenarie; così pure la pietra di Zambra, presso Scomello, usata talvolta in Volterra come tufo, per farne statue e vari oggetti decorativi, si discosta, e ancora maggiormente, dal tufo delle urne essendo una vera e propria arenaria notevolmente silicea (16 °/0 di SÌO2). La composizione chimica, la struttura, il colore, la resistenza meccanica, i resti vegetali ed altri caratteri del tufo delle urne cinerarie, corrispondono invece perfettamente al tufo di Pignano che si usa anche attualmente, trovandosi abbondantissimo in detta località; credo quindi molto probabile che di esso siano in realtà costituite tutte le urne tufacee del Museo di Volterra.
Le poche urne di terracotta non presentano caratteri particolari importanti; unica particolarità da me notata specialmente nelle urne 8, 12, 13, 307, è la presenza di scagliette lucenti micacee che fa pensare all’uso dell’argilla micacea che si trova a Volterra in vicinanza dell’ex-convento dei Cappuccini, oppure alla possibilità che gli Etruschi aggiungessero all’argilla comune una sabbia micacea proveniente da svariate rocce micacee del volterrano come la serpentina, la trachite di Montecatini etc.
Lo studio sulla identificazione dei materiali delle urne ha richiesto svariate indagini scientifiche sullo stato di conservazione delle urne, per accertamenti sulle alterazioni superficiali, come pure talvolta sulle pitture che vi si trovano frequenti. Credo, in seguito a queste ricerche, di potere escludere, nella maggior parte dei casi, che gli Etruschi usassero riscaldare le urne durante la loro fabbricazione come purtroppo si usa fare oggi a detrimento della translucidità dell’alabastro ; non restano indizi di sostanze grasse o ceruminose colle quali proteggessero le urne dall’azione del tempo. L’ottimo stato di conservazione di molte urne (se si tien conto del tempo 1) è dovuto unicamente alla loro buona posizione negli ipogei ed alla struttura di questi; ove mancava tale circostanza si sono prodotte o incrostazioni calcaree per scorri mento di acque calcarifere alla loro superficie, o fortissime erosioni, per scorrimento delle acque piovane.
Per la decorazione a colori è da notarsi che questa era fatta a pittura superficiale con polveri minerali colorate; così la coloritura rossastra frequente nei motivi ornamentali, nelle iscrizioni, nelle faccie e nelle vesti degli uomini, nei finimenti dei cavalli, nelle faci, nei capelli, nelle patere etc., risulta all’analisi chimica formata da ocra rossa; il giallo è dovuto ad ocra gialla, l’azzurro a smalto di cobalto. La doratura è stata fatta per applicazione di foglia d’oro su superficie preparata con precedente pittura che spesso conserva un colore violaceo scuro. Le pitture in generale sono più manifeste e meglio conservate nelle urne di tufo e non lasciano mai indizi di penetrazione nella massa della pietra, sia questa il tufo o l’alabastro.
Andrea Niccolai
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